lunedì 27 maggio 2013

LA MADRE PARLA

Tu, essere umano, minuscolo e insignificante dinnanzi a cose che neanche riesci a vedere per intero da quanto sono immense, è inutile che t'affanni tanto, perché dove vuoi andare, umano, mortale, su quelle due zampe barcollanti che non ti fanno neanche correre veloce come un grosso felino, e quelle braccine che non ti permettono né di volare alto sopra le nuvole con le aquile né di nuotare negli abissi bui e spaventosi delle creature sconosciute; goffo come sei non saresti mai in grado di emulare le bertucce vispe saltando di fronda in fronda, o di strisciare subdolamente come un cobra a rasoterra, o ancora a scavare e vivere nel sottosuolo fangoso. Ma dove vuoi andare con la tua frenesia e la tua smania di profitto quando non ti guardi neanche in giro e non vedi se le foglie degli alberi sono verdi e non ti accorgi del cielo che cambia colore, e regoli la tua vita su delle lancette che corrono sul quadrante della tua vita piatta e monotona come le due aste nere che si inseguono all'infinito fino a quando la batteria non si scarica. ma cosa vuoi fare, distruttore di ecosistemi, inquinatore spietato, sfruttatore scriteriato che non hai ancora capito che basta un piccolo singulto della mia crosta che la tua razza si estingue come una fiamma sul bastoncino sulfureo.

Scialacqui la tua esistenza con un paraocchi e non alzi mai le pupille all'immenso tetto che ti dona il respiro, e non accarezzi mai la fluida incolore materia che genera la vita, non sai nominare i fiori che ti circondano e prediligi il posticcio e il fasullo; perché è quello che sei anche tu. L'oro nero e i suoi derivati sono la tua dipendenza, la causa di mutilazioni e decessi incessanti; sei stato capace di tirare fino all'esasperazione il valore di un prodotto minerario e non sai dare un bacio a tuo figlio e una carezza a tua moglie. Non ricordi cosa sia l'amore, quello vero, quello incondizionato, perché ti aspetti qualcosa di ritorno, e pretendi che tutto ti sia dovuto. La tua razza non ricorda che da me non si deve pretendere nulla, ma solo chiedere con gentilezza e pazienza. Se imponi il tuo volere su di me e mi ferisci io mi vendicherò e non baderò all'equo e al fallace, travolgerò ogni tuo singolo insediamento, e da me non esiste scampo se non la misera fine che ti attende al termine della tua ignobile esistenza, che altro non è un lento suicido reso tale e inutile dal tuo sistema e stile di vita. Umano, voltati e guadami. Cosa vedi? Ogni superficie che vedi e tocchi rispecchia te, perché io sono dentro di te, tu sei il frutto del mio albero, sei il filo d'erba e sei l'onda contro gli scogli; sei l'ossigeno nei tuoi stessi polmoni e tu senza di me non saresti mai esistito: stai distruggendo tua madre? Umano, rispettami. Umano, il mio amore non ha confini, ma la giustizia deve essere il punto cardine della mia esistenza. Se il tuo comportamento perseguita ad essere becero e irrispettoso, tu stesso mi hai obbligata a riportarti all'ordine.


Umano, amami. Io sono nei tuoi occhi, nel tuo profondo essere. Tu non puoi liberarti di me neanche da morto, siamo un essere solo, e non esiste amore più grande, puro e primordiale di questo.


[AJ]

martedì 14 maggio 2013

IL VOCIARE


Il vociare dei plebei assorderà le vostre membra uditive e fremeran le vostre flaccide carni al rombo dell'ordigno mortal c'avea pronta l'affamati contadini per spazzar via il fetor lancinante dei vostri cadaveri in putrefazione ch'ancor s'ostinano ad avanzare inermi dinnanzi agl' iracondi popoli.

Come solea nella storia l'eterno ritorno si presenterà ancor al vostro cospetto sin al vostro floreal capezzale; i servigi degli schiavi non otterrete sicché anch'essi saran liberi dalle vostre grinfie e un possente vento di morte vi rapirà l'ultimo respir vitale.

[AJ]

mercoledì 10 aprile 2013

MARTA

Marta è davvero bella, un paio di occhi smeraldo che riflettono i raggi del sole, gli stessi che ogni mattina le baciano il viso, svegliandola. Quel viso di luna cela una brillante intelligenza, e dietro gli occhi felini nasconde grandi segreti e tanto coraggio. Marta ha vent'anni, ma Marta non ha età.
Ogni mattina lei si sveglia e sente ciò che la circonda; è molto attenta. Non vuole lasciarsi sfuggire un attimo della sua esistenza, perché è affamata di vita più di ogni altra cosa. Marta sa, Marta vede. Si stropiccia i begli occhi, li prepara alla visione del mondo. Marta ha già visto molto. Poggia piede sulla mattonella fredda e fuori c' è il sole; l' aria è frizzante.
Sembrano così lontani i giorni del buio, per una giovane donna nata nella miseria e rinata tra le fiamme. E invece era solo un anno fa; esattamente un anno da oggi. Ricorda, Marta, mentre fa colazione accarezzando gatti e pulcini, di quando fuori, per le strade, si odivano esplosioni e si vedeva fumo e fiamme. Anche quella mattina Marta si era svegliata, ma l' aria non era frizzante e non sorgeva l' incandescente stella. Si ergevano palazzoni di cemento che prima osservavano con un ghigno malefico i passanti, con gli occhi del potere e del consumo assoggettavano le coscienze di coloro che ormai erano ridotti a pallidi cadaveri ambulanti.
Il cemento la faceva da padrone sulla soave natura, la schiacciava e la annientava, così come i costruttori di falsa necessità facevano ai bisogni umani.
Calore e affetto erano due parole dimenticate ormai da tempo, solidarietà non s' era mai sentita. Amore e amicizia dei dogmi costruiti e il rispetto dilaniato da falsità e corruzione; tutto aveva perso valore. Anche la vita, tanto ostentata e al contempo ridicolizzata, veniva mancata di rispetto. Ogni azione era finalizzata alla compravendita di salme sorridenti in movimento verso la disfatta. Marciavano i corpi, sulla passerella sporca di sangue, e marciarono ancora e ancora e ancora, marciarono come anime disgraziate e infelici inseguite dal padrone lento e grasso che colpiva a suon di frusta la schiena mentre mangiava i polmoni. La marcia del marcio è la corsa prestabilita e costante costruita per non recare troppi affanni a chi preferisce suicidarsi lentamente e chi vaneggia adagio, ammuffendo lentamente anchilosando le gambe che non sanno più correre e atrofìzzando la mente che non sa più viaggiare; e le catene di inspessiscono, non lasciano più spazio ai colori e alle sensazioni, perché stringono fino al sangue.
Il rosso sangue sgorgava dalla fronte di colui che la schiena avea già rotta, rosso colava dalla dignità di una vecchina vestita di stracci in ginocchio sul cemento per poter mangiare, che dopo tante guerre ancora doveva ora combattere contro la fame e la vergogna. Rosso era il fluido che scendeva dalla gola dell agnello che piangeva e invocava la madre per poterla sentire, per non sentire la fredda lama fatale. Rosso era il colore di chi non cambia colore, ma diventa gonfio e secco, perché il rosso dentro di lui sta rallentando sempre di più e le mosche si impadroniscono del volto, Rosso era il trono del maiale che placido sedeva compiaciuto e pingue nel suo lardo molle che colava dal mento e dai fianchi ordinava e comandava, lui, con lo zoccolo sporco di letame. E rosso era il colore del calore e delle fiamme che divorava la città delle canaglie, brillava e mangiava, stridevano gli allarmi e le sirene ma la passione che sfavillava nelle iridi dei giovani titani ribelli al padre sovrastava in concreto tutto ciò che era attorno annientandolo, insieme agli ultimi progenitori della sofferenza. Marta quel giorno era decisa, Marta non si limitava a guardare. Marta si arma e urla, urla di coraggio e di paura, di dolore e disperazione, di esasperazione. Marta gridava la sua rabbia e per lei meglio si esprimeva il rombo dell esplosione, simultanea agli scoppi degli altri animi rinchiusi in quella boccia, in quella nube, nel fragore del BLEVE che scaglia schegge ovunque, come il Big Bang quel giorno si è ricostituita la vita.
E ora eccoci qui, cara Marta. Tu dagli occhi stanchi ma sereni, vivi ora secondo la tua natura. Sempre più bella ti accarezzi i soffici capelli che ti sfiorano la schiena e ti stringi tra le spalle minute e fiere, tra una carezza di un raggio di sole e il miagolio del micio innamorato sulle tue ginocchia. Cicatrici sul corpo, quale tatuaggio migliore per segnare una parte così importante della tua vita? Perché tu, come Dioniso, nata due volte, ora hai cominciato a vivere.

martedì 26 marzo 2013

VIAGGIO

Delirio sublime, dolce e soave follia dell'ignoto
Alla ricerca di un sogno da inseguire.
Un sentiero scintillante costellato da luci e bagliori,
Ombre e oscurità.
Evanescente e sconosciuto è il desiderio e l'equilibrio
Sull'orlo dell'oblio instabile inganna e consola.
Sul dragone cavalca la mente
Trasportata tra nuvole e vento e attraversa correnti
E tempeste per cercare l'idilliaco paesaggio
Sublime cheta gioia di vivere esplode

In tutta la grazia
Potente divinità, e crea
E nasce, lei, tra una giovane foglia e un frutto maturo,
Vita mia che torna a respirare
Lontana dal catrame


[AJ]

domenica 10 marzo 2013

GIOCO

Come un pietoso, sadico gioco, pedine mosse e controllate secondo un percorso regolamentato dall'infamia e dall'ingiustizia inseguono, infiltrano, condannano, rinchiudono e torturano tutti coloro che a questa competizione non intendono partecipare.
Omini contro veloci tenebre irrequiete si scagliano, per cancellare ogni espressione individuale e estrarre dalla macchia nera dei corpi da poter accusare e annientare.

Forse non capiranno mai che la materia è limitata e fine a sé stessa, e che per distruggere un'idea non esiste coercizione alcuna.

[AJ]

martedì 5 febbraio 2013

NATA E MORTA


Sono nata in Polonia. Ho vissuto in Germania. Sono morta qui.

La mia vita segnata da sbarre metalliche, mi separavano da mia madre e dal suo seno. Sopra di me il cielo a scacchi, dalla grata nel grosso veicolo verso i boia annusavo l’aria  con la tenerezza dell’infanzia e una curiosità insita tipica della mia tenera età. Intanto pensavo a mia mamma. Le mie compagne di viaggio piangevano e si lamentavano. A vicenda si cercavano per consolarsi, ma io non riuscivo ad essere partecipe a questo dolore collettivo, l’unica cosa che mi riusciva fare era cercare di isolarmi. La gabbia viaggiante si ferma e aprono lo sportello. Una ventata di aria fresca e nuova ci pervade le narici, ma siamo molto scosse dal viaggio interminabile e dal rumore delle auto in corsa. Ci spingono, vogliono farci scendere. Calci, spintoni, scosse. Fanno molto male, così male che qualcuna cade e non riesce più ad alzarsi. La sua agonia è finita presto. Un senso di inquietudine ci pervade; dove siamo arrivate, amiche? Nessuna lo sa di preciso, ma l’angoscia si diffonde presto. Ci picchiano e ci incanalano verso l’entrata di un enorme e puzzolente edificio, sporco di sangue. La follia è vicina. All’improvviso tutte capiamo; quelli saranno gli ultimi maldestri passi che le nostre fragili gambe muoveranno. Ci spingono verso una stanza gelida, tremiamo. Tremiamo di paura, di stanchezza, di stress, di denutrizione. Scappare è impossibile. Il nostro destino termina a pochi passi dall’entrata, per mano di un operatore impietoso che esegue gli ordini del capo e non riesce a guardare i nostri occhi grandi e le nostre lacrime che ci bagnano fino al mento. Mi afferrano. Mamma, dove sei?!

Che io sia una mucca, una pecora, una scrofa, una gallina o una donna, il sangue è uguale per tutti. La morte è uguale per tutti. La follia e il terrore della morte sono uguali per tutti.
Non è stata specificata la specie animale nel racconto perché è valido per tutti gli animali, anche gli umani. Provate a rileggerlo pensando alla voce di una bambina. C’è tanta differenza?
Per gli animali tutti gli umani sono nazisti.

[AJ]

MACELLERIA SOCIALE


Vendesi volontà altrui a basso prezzo: pezzetti di fantasia, fettine di gioia, bocconcini di personalità. Saldi. Tutto al 50%. La vita in sconto. Vendesi dignità per pochi spiccioli, perdita di onestà per liquidità, cercasi compratore di anime vuote. Accorrete numerosi. Lasciatevi svuotare, vi riempiremo noi di cose di cui non avete bisogno per colmare il vostro Nulla interiore.

[AJ]