mercoledì 10 aprile 2013

MARTA

Marta è davvero bella, un paio di occhi smeraldo che riflettono i raggi del sole, gli stessi che ogni mattina le baciano il viso, svegliandola. Quel viso di luna cela una brillante intelligenza, e dietro gli occhi felini nasconde grandi segreti e tanto coraggio. Marta ha vent'anni, ma Marta non ha età.
Ogni mattina lei si sveglia e sente ciò che la circonda; è molto attenta. Non vuole lasciarsi sfuggire un attimo della sua esistenza, perché è affamata di vita più di ogni altra cosa. Marta sa, Marta vede. Si stropiccia i begli occhi, li prepara alla visione del mondo. Marta ha già visto molto. Poggia piede sulla mattonella fredda e fuori c' è il sole; l' aria è frizzante.
Sembrano così lontani i giorni del buio, per una giovane donna nata nella miseria e rinata tra le fiamme. E invece era solo un anno fa; esattamente un anno da oggi. Ricorda, Marta, mentre fa colazione accarezzando gatti e pulcini, di quando fuori, per le strade, si odivano esplosioni e si vedeva fumo e fiamme. Anche quella mattina Marta si era svegliata, ma l' aria non era frizzante e non sorgeva l' incandescente stella. Si ergevano palazzoni di cemento che prima osservavano con un ghigno malefico i passanti, con gli occhi del potere e del consumo assoggettavano le coscienze di coloro che ormai erano ridotti a pallidi cadaveri ambulanti.
Il cemento la faceva da padrone sulla soave natura, la schiacciava e la annientava, così come i costruttori di falsa necessità facevano ai bisogni umani.
Calore e affetto erano due parole dimenticate ormai da tempo, solidarietà non s' era mai sentita. Amore e amicizia dei dogmi costruiti e il rispetto dilaniato da falsità e corruzione; tutto aveva perso valore. Anche la vita, tanto ostentata e al contempo ridicolizzata, veniva mancata di rispetto. Ogni azione era finalizzata alla compravendita di salme sorridenti in movimento verso la disfatta. Marciavano i corpi, sulla passerella sporca di sangue, e marciarono ancora e ancora e ancora, marciarono come anime disgraziate e infelici inseguite dal padrone lento e grasso che colpiva a suon di frusta la schiena mentre mangiava i polmoni. La marcia del marcio è la corsa prestabilita e costante costruita per non recare troppi affanni a chi preferisce suicidarsi lentamente e chi vaneggia adagio, ammuffendo lentamente anchilosando le gambe che non sanno più correre e atrofìzzando la mente che non sa più viaggiare; e le catene di inspessiscono, non lasciano più spazio ai colori e alle sensazioni, perché stringono fino al sangue.
Il rosso sangue sgorgava dalla fronte di colui che la schiena avea già rotta, rosso colava dalla dignità di una vecchina vestita di stracci in ginocchio sul cemento per poter mangiare, che dopo tante guerre ancora doveva ora combattere contro la fame e la vergogna. Rosso era il fluido che scendeva dalla gola dell agnello che piangeva e invocava la madre per poterla sentire, per non sentire la fredda lama fatale. Rosso era il colore di chi non cambia colore, ma diventa gonfio e secco, perché il rosso dentro di lui sta rallentando sempre di più e le mosche si impadroniscono del volto, Rosso era il trono del maiale che placido sedeva compiaciuto e pingue nel suo lardo molle che colava dal mento e dai fianchi ordinava e comandava, lui, con lo zoccolo sporco di letame. E rosso era il colore del calore e delle fiamme che divorava la città delle canaglie, brillava e mangiava, stridevano gli allarmi e le sirene ma la passione che sfavillava nelle iridi dei giovani titani ribelli al padre sovrastava in concreto tutto ciò che era attorno annientandolo, insieme agli ultimi progenitori della sofferenza. Marta quel giorno era decisa, Marta non si limitava a guardare. Marta si arma e urla, urla di coraggio e di paura, di dolore e disperazione, di esasperazione. Marta gridava la sua rabbia e per lei meglio si esprimeva il rombo dell esplosione, simultanea agli scoppi degli altri animi rinchiusi in quella boccia, in quella nube, nel fragore del BLEVE che scaglia schegge ovunque, come il Big Bang quel giorno si è ricostituita la vita.
E ora eccoci qui, cara Marta. Tu dagli occhi stanchi ma sereni, vivi ora secondo la tua natura. Sempre più bella ti accarezzi i soffici capelli che ti sfiorano la schiena e ti stringi tra le spalle minute e fiere, tra una carezza di un raggio di sole e il miagolio del micio innamorato sulle tue ginocchia. Cicatrici sul corpo, quale tatuaggio migliore per segnare una parte così importante della tua vita? Perché tu, come Dioniso, nata due volte, ora hai cominciato a vivere.

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